lunedì 18 febbraio 2002

Inutile la tua vita?

Inutile la tua vita? 
Sei nato a mezzogiorno, di un venerdì. Senza grandi clamori, alla svelta, senza farmi soffrire troppo. Avevi gli occhi chiusi, la lingua penzoloni. Ti guardai e pensai: - com’è brutto! – ma non ebbi il coraggio di dirlo e dissi: - com’è piccino! 
Le cose, col tempo, non miglioravano. Tutti sapevano, intorno a noi, meno tuo padre ed io. Ci mandarono da un medico famoso. Quando tornai a casa, ti rimisi nella tua culla, ti guardai e pregai: “Signore, Dio dà, Dio toglie: riprenditelo ora. A che serve la sua vita inutile?”. Perdonami, figlio mio.
Ti chiesi perdono allora, subito, e ti chiedo perdono ora. Inutile la tua vita?


Imparai che eri un figlio come gli altri, solo con problemi diversi. Quando dicesti “mamma” piansi di gioia, anche se avevi tre anni. Quando, malfermo sulle gambe, mi corresti incontro, spalancai le braccia e fui felice, anche se avevi più di quattro anni. E mi insegnasti la pazienza.

Quando, in quell’epoca, nessuno ti voleva, né la scuola, né la società, imparai ad essere umile, sorridente, gentile, perché qualcuno ti facesse una carezza. E mi insegnasti l’umiltà.

Quando la gente cominciò ad accorgersi di te e di quelli come te, cominciai a combattere, e combatto ancora, perché tu fossi accettato. E mi insegnasti a lottare.

Quando infine le altre madri sognavano per i loro figli il primo posto nella scuola, nella carriera, nella società, io mi accontentavo dei tuoi piccoli progressi. E mi insegnasti a desiderare per i miei figli la felicità, non la ricchezza ed il successo.

Inutile la tua vita?

E quando venne la zia ad abitare accanto a noi, inasprita dalle sue disgrazie, con un carattere impossibile e insopportabile, sola, per il vuoto che tutti i parenti le avevano creato intorno, e incapace di star sola, ancora una volta la tua vita si mostrò non utile ma necessaria: per ventidue anni tu le facesti compagnia, giorno dopo giorno, sopportando il suo dispotismo, a volte la sua prepotenza, volendole bene, addolcendo i suoi momenti tristi, facendola sorridere con le tue uscite paradossali. Per ventidue anni desti uno scopo alla sua vita, un ritmo alle sue giornate, un perché ai suoi gesti.

Inutile la tua vita?

Quando lei morì, ti riavemmo tutto per noi. Tuo padre ed io, con la maturità, avevamo conosciuto una tenerezza nuova, un’intesa mai raggiunta prima: e tutti e tre passammo l’ultima vacanza felice, la più bella di tutta la nostra vita. Poi la malattia, la morte di tuo padre.

Quando tornai disperata dal Camposanto, trovai di nuovo te, a casa, te  che non sapevi niente, che capivi poco ma che “sentivi”, per quella misteriosità sensibilità che hai, che qualcosa di terribile era successo. E per te ho ricominciato prima a sopravvivere, poi, sia pure in tono minore, a vivere: per te ho ricominciato a lavorare, a lottare.

Tu sei la mia compagnia: se ho ancora una carezza, se ancora qualcuno mi abbraccia, se qualcuno ancora si ricorda che il bisogno di tenerezza non ha età, lo devo a te. Se riesco ancora a dare felicità a qualcuno, questo sei tu, a cui basta tanto poco per essere felice.

Inutile la tua vita?


La mamma.

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