giovedì 13 febbraio 2003

Nessuno lo ha chiamato Papà

Me li immagino, il 17enne e la 15enne, che vivono la loro storia d’amore, si “amano” come oggi è troppo facile, e forse d’obbligo, cominciare a fare da adolescenti e poi lei che corre in farmacia, si compra il test di gravidanza…. Lo riprova chissà quante volte col cuore che batte ed attaccata al cellulare con lui dall’altra parte che le dice: ma sei veramente sicura? Sì, è positivo… aspetto un figlio…. Me lo immagino il panico di quelle ore come se la possibile guerra in Irak fosse nulla, come se i morti per Aids fossero nulla, come se il passato superato coraggiosamente fosse nulla: che cosa sono tutti i mali del monto a confronto con una gravidanza indesiderata?

Me li immagino i loro pensieri di paura al pensiero dei rispettivi genitori, degli amici, dei compagni di scuola, dei vicini di casa: che vergogna deve essere rimanere incinta a 15 anni col fidanzatino di 17, magari al primo colpo, magari la prima volta.
Me la immagino questa società attorno incapace di dare loro non risposte serie…. Ma che cosa interpellate gli psicologi o gli indovini, qui non c’è bisogno di “risposte” ma di accoglienza!
Ecco che cosa manca in questa società.
Dico, e ripeto, insisto, “me li immagino”, perché questi due ragazzi di Rivoli hanno il volto delle centinaia di ragazzi che incontro in giro per l’Italia: la loro freschezza, la loro bellezza, la loro purezza, la loro confusione, la loro voglia di verità, il loro desiderio di amare ed essere amati, l’unico motivo per cui sono stati creati.
Me li immagino nei volti dei ragazzi incontrati nelle scuole…..che ti dicono che per loro “fare sesso” è un bisogno fisiologico….. mi è capitato anche questo….e che parlano di preservativo come si parla di gomme da masticare, o di un fedele compagno di viaggio.
Me li immagino… e provo ad abbracciarli alla distanza. Lui, il 17 enne, verso il quale i giornali si sono divertiti a scavare nel passato della sua malattia superata, dei suoi genitori separati, e di chissà cos’altro troveranno ma nessuno ha pensato ad accoglierlo ed a dirgli la verità.
Lei, ragazzina, figlia e mamma contemporaneamente, a 15 anni quando tutti di solito  ti domandano: ma a 15 anni come ci si fa ad assumere la responsabilità di una figlia? Perché, assumersi quella di uccidere è molto più facile? La vedo lei nel volto della ragazza del primo bianco, pulita e bella ogni giorno di scuola.
E poi il grande escluso, lui, il figlio che vive dentro di lei, che ringrazia il giovane papà d’averlo messo al mondo e la mamma che lo ospita, anche se è un po’ indecisa.
Infine le assistenti del consultorio che, una volta ogni tanto, seguono la legge e consigliano di coinvolgere anche i rispettivi genitori in questa scelta.
L’epilogo della storia la sappiamo tutti. Lui, il 17enne si impicca per paura che i genitori vengano a scoprire il fatto. I genitori si infuriano con quelli del consultorio e forse ci sarà denuncia. La madre ed il figlio attendono: che cosa succederà?
Non voglio entrare nel merito della storia e nemmeno fare previsioni su quello che potrà accadere. Dico solo che sfogliando i giornali e sentendo commenti nessuno ha chiamato il ragazzo col suo vero nome: padre. Tutti lo chiamano il diciassettenne, l’irresponsabile, il fidanzatino ed altro ancora. Nessuno gli ha detto la parolina magica: tu sei padre. Questo, ne sono sicuro, avrebbe salvato sicuramente la sua vita e quella di suo figlio.
Riposa in pace, ragazzo come noi, nostro fratello, figlio ed insieme padre.



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