martedì 3 maggio 2011

L'impero del bene colpisce ancora - di Mario Sechi

Alla fine di un tempo che sembrava infinito, quando nessuno ci credeva più, la preda è cascata nella trappola: Osama Bin Laden è morto. L’America non dimentica. L’America non perdona.
Una caccia durata dieci anni. Lunga, paziente, a tratti sconfortante. Ma alla fine di un tempo che sembrava infinito, quando nessuno ci credeva più, la preda è cascata nella trappola: Osama Bin Laden è morto.
L’America non dimentica. L’America non perdona. L’America ha lo sguardo lungo e la mano ferma. L’America sbaglia, ma sa correggere i suoi errori. L’America è pace per chi ama e guerra per chi odia. L’America è forza del bene contro il male. L’America è la Bibbia e la Colt. Chi colpisce il cuore dell’impero americano non resta impunito. Chi viola il suo suolo non coltiva più nello stesso letto i suoi sogni assassini. Chi uccide uomini, donne e bambini non trova pace. Perché l’America ha una memoria eterna, un cuore grande, eroi pronti a morire per la libertà e armi potenti come il tuono. Il fulmine americano incenerì i giapponesi che osarono violare Pearl Harbor durante la Seconda Guerra Mondiale. La saetta a stelle e strisce ha scritto la parola «fine» sulla vita dello sceicco, l’uomo con gli occhi brillanti di un angelo del terrore. Ho atteso anche io per dieci lunghi anni questo giorno. Perché l’11 settembre 2001 è una data indelebile nella biografia interiore di ciascuno di noi. Provate a porvi la domanda: dov’ero quel giorno? Lo ricorderete immediatamente, come non vi capiterà per altri momenti di gioia o dolore personale. Questo fenomeno di memoria automatica accade perché quella maledetta mattina a New York si è materializzato di fronte a noi un mostro sconosciuto alla massa, qualcosa di invisibile, informe, vorace, spietato. Mentre gli aerei si schiantavano sulle Torri Gemelle i terroristi recitavano questi versetti: «Quando si avvicina la vera promessa e l’ora zero è arrivata, lacera il tuo vestito e apri il tuo petto, per dare il benvenuto alla morte sulla via di Dio e sempre ricordalo». Chi riesce a manipolare la religione per ispirare il dirottamento di quattro aerei di linea per usarli come dei missili terra-aria su obiettivi civili è un pericolo da eliminare. Costi quel che costi. Possono trascorrere decenni, ma la missione va compiuta. Obama ha centrato l’obiettivo, dimostrando di essere non solo il Presidente degli Stati Uniti, ma anche un grande «commander in chief». È stato freddo, deciso, attento a ogni dettaglio e ha dato l’ordine per una sentenza giusta, senza appello, inesorabile. Così si è consumata la vendetta americana. L’impero del bene colpisce ancora.
Molti giorni di questi dieci lunghi anni li ho dedicati allo studio di quel che accadde l'11 settembre 2001. Non mi è mai bastato intuire che si trattava di un «turning point», un punto di svolta della storia. Ho letto tanti libri, incontrato persone rare e preziose, viaggiato, cercato con umiltà di comprendere che cosa stava accadendo. Non era sufficiente dire o scrivere «siamo tutti americani» il giorno dopo. Perché sapevo che con il trascorrere del tempo quel sentimento si sarebbe affievolito, addirittura in molti casi invertito e la verità sarebbe stata distorta da una propaganda cieca, vile, infame. Ricordo ancora le teorie del complotto sull'attentato nel cuore di Manhattan. Qualcosa di aberrante, arrivare a sostenere l'auto-attentato degli Stati Uniti con una ricostruzione falsa degli eventi che ha vergognosamente trovato spazio e risonanza sui media, perfino quelli che si fregiano del titolo di «autorevole». Bisognerebbe imporre loro di leggere tutte le mattine lo straordinario libro di Popular Mechanics intitolato «Debunking 9/11 Myths», un lavoro di decostruzione di tutte le orribili montature sull'attentato. Arrivarono a sostenere che sul Pentagono non si era abbattuto il volo 77 della American Airlines, ma un missile. Secondo gli amanti della teoria del complotto la prova era nel fatto che non c'erano detriti dell'aereo. In realtà s'era completamente sbriciolato penetrando nella fortificazione del Pentagono, ma i resti c'erano eccome, le foto sono a disposizione di chiunque abbia voglia di conoscere la verità e separarla dalla menzogna. Furono issate le vele della bugia per dimostrare che tutto era opera della mente criminale di George W. Bush e di chissà quale Spectre. La storia si ripeterà nella stessa inquietante forma anche per l'eliminazione di Bin Laden dalla faccia della terra. Stanno già fiorendo le teorie sul non-morto, sulla messa in scena, sulla fiction stavolta sceneggiata dal clan obamiano in difficoltà nei sondaggi e dunque bisognoso di un colpo di scena per riprendersi in vista delle elezioni presidenziali. Un delirio che si alimenterà grazie al kretinismo di internet, alla complicità di alcuni pseudo-intellettuali pronti a sostenere qualsiasi tesi pur di dire che l'America è il Male Assoluto e di un circo mediatico pronto a cibarsi anche della spazzatura pur di fare cassetta. Dobbiamo invece essere consapevoli che la morte di Bin Laden non risolve il problema del terrorismo. La sua uccisione è un punto molto importante, certamente una svolta in questa lunga guerra che il presidente Bush e il gruppo dei «Vulcans» avevano individuato subito come la priorità del mondo partorito dalla storia l'11 settembre 2001. Obama è sul solco tracciato dal suo predecessore e non a caso ha lasciato Robert Gates alla Difesa e messo il generale David H. Petraeus nella posizione perfetta (comandante del CentCom, quello che guida tutte le operazioni in Medio Oriente) per colpire Bin Laden. Obama ha cambiato solo il capo della Cia, sostituendo un discusso George Tenet - responsabile del fallimento dell'intelligence nella prevenzione degli attentati del 9/11 - con Leon Panetta. Questi uomini hanno messo a segno il colpaccio, archiviato Bin Laden a un capitolo tragico della storia e si avviano in posizioni diverse (Panetta andrà al posto di Gates e Petraeus salirà al vertice della Cia) a continuare la lunga guerra contro il terrorismo islamico e ogni minaccia verso l'Occidente. Dobbiamo essere consapevoli che la contemporaneità ci metterà ancora alla prova, perché il male non è sconfitto per sempre. Il terrore non si spegne con l'eliminazione di un uomo, anche se si tratta di un simbolo contro Bin Laden. Ma questa battaglia vinta è fondamentale, perché ha mostrato agli occhi di chi sogna la fine della nostra civiltà, che non esiste perdono per chi progetta lo sterminio di massa, che la nostra debolezza interiore è temporanea, che nell'anima di chi serve la causa della libertà ci sono ancora riserve di forza interiore e coraggio enormi. Proveranno a colpire subito. Oppure come ragni tesseranno la loro tela sinistra per mietere altre vite di innocenti. Colpiranno dove meno ce lo aspettiamo. E dobbiamo tutti essere pronti a rispondere. Se io fossi un insegnante, dedicherei qualche ora delle mie lezioni a spiegare ai miei studenti il significato dell'11 Settembre 2001. Porterei con me il 9/11 Commision report (il libro è tradotto in italiano) e comincerei a leggerlo insieme ai miei ragazzi. Sono 567 pagine che raccontano una storia incredibile. Leggendole troverete il tempo per stupirvi, per piangere, battere i pugni e chiedervi come sia stato possibile tutto questo, quale mente deviata abbia potuto immaginare una strage così terribile. Morte, paura, dolore. La Torre Nord a dieci minuti dall'impatto gran parte dell'edificio era già una bara in fiamme dove il fumo e il calore erano tali da costringere le persone a lanciarsi nel vuoto. Nella torre Sud molti non s'erano resi conto di quel che accadeva e nessuno poteva immaginare neppure lontanamente l'arrivo di un altro aereo. Moltissimi rimasero dentro il grattacielo. Altri addirittura tornarono indietro dopo esser usciti dalla torre. Questo era lo scenario prima del secondo schianto. Poi un rumore sordo. Il crollo delle due torri. E tremila morti americani sul suolo americano. Non potevano essere ricordati solo nei funerali e nelle pubbliche cerimonie, perché le grandi nazioni esistono quando fanno valere il diritto e la forza. Gli Stati Uniti non hanno mai dimenticato questa regola. Osama Bin Laden, nome in codice per la Cia «Geronimo», è morto. Missione compiuta, presidente Obama.
Su Il Tempo del 03 maggio 2011

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